L’olimpiade, Venezia, Rossetti, 1738

Assente nell'edizione Zatta Frontespizio
 ATTO TERZO
 
 SCENA PRIMA
 
 Bipartita che si forma dalle ruine di un antico ippodromo.
 
 Megacle
 Lasciami. Invan t’opponi.
 Aminta
                                                 Ah torna amico,
1020una volta in te stesso. In tuo soccorso
 pronta sempre la mano
 del pescator ch’or ti salvò dall’onde,
 credimi, non avrai. Si stanca il cielo
 d’assister chi l’insulta.
 Megacle
                                           Empio soccorso,
1025inumana pietà! Niegar la morte
 a chi vive morendo. Aminta, oh dio,
 lasciami.
 Aminta
                    Non fia ver.
 Aristea
                                            Lasciami Argene.
 Argene
 Non lo sperar.
 Megacle
                             Senza Aristea non posso,
 non deggio viver più.
 Aristea
                                          Morir vogl’io
1030dove Megacle è morto.
 Aminta
                                            Attendi.
 Argene
                                                              Ascolta.
 Megacle
 Che attender?
 Aristea
                             Che ascoltar?
 Megacle
                                                        Non si ritrova
 più conforto per me.
 Aristea
                                        Per me nel mondo
 non v’è più che sperar.
 Megacle
                                            Serbarmi in vita...
 Aristea
 Impedirmi la morte...
 Megacle
1035Indarno tu pretendi.
 Aristea
                                         Invan presumi.
 Aminta
 Ferma.
 Argene
                 Senti, infelice.
 Aristea
                                              O stelle!
 Megacle
                                                                O numi!
 Aristea
 Megacle!
 Megacle
                    Principessa!
 Aristea
                                             Ingrato! E tanto
 m’odi dunque e mi fuggi
 che per esserti unita,
1040s’io mi affretto a morir, tu torni in vita.
 Megacle
 Vedi a qual segno è giunta,
 adorata Aristea, la mia sventura.
 Io non posso morir. Trovo impedite
 tutte le vie per cui si passa a Dite.
 Aristea
1045Ma qual pietosa mano...
 
 SCENA II
 
 ALCANDRO e detti
 
 Alcandro
 Oh sacrilego! O insano!
 Oh scelerato ardir!
 Aristea
                                     Vi sono ancora
 nuovi disastri, Alcandro?
 Alcandro
                                                In questo istante
 rinasce il padre tuo.
 Aristea
                                       Come?
 Alcandro
                                                       Che orrore!
1050Che ruina! Che lutto,
 se ’l ciel nol difendea, ne avrebbe involti!
 Aristea
 Perché?
 Alcandro
                  Già sai che per costume antico
 questo festivo dì con un solenne
 sacrificio si chiude; or mentre al tempio
1055venia fra’ suoi custodi
 la sacra pompa a celebrar Clistene,
 perché non so né da qual parte uscito,
 Licida impetuoso
 ci attraversa il cammin. Non vidi mai
1060più terribile aspetto. Armato il braccio,
 nuda la fronte avea, lacero il manto,
 scomposto il crin. Dalle pupille accese
 uscia torbido il guardo e per le gote
 d’inaridite lagrime segnate
1065traspariva il furore. Urta, roverscia
 i sorpresi custodi. Al re s’avventa:
 «Mori» grida fremendo e gli alza in fronte
 il sacrilego ferro.
 Aristea
                                  Oh dio!
 Alcandro
                                                   Non cangia
 il re sito o color. Severo il guardo
1070gli ferma in faccia e in grave suon gli dice:
 «Temerario! Che fai?» Vedi se il cielo
 veglia in cura de’ re. Gela a que’ detti
 il giovane feroce. Il braccio in alto
 sospende a mezzo il colpo. Il reggio aspetto
1075attonito rimira, impallidisce,
 incomincia a tremar, gli cade il ferro
 e dal ciglio, che tanto
 minaccioso parea, prorompe il pianto.
 Aristea
 Respiro.
 Argene
                   O folle!
 Aminta
                                   O sconsigliato!
 Aristea
                                                                Ed ora
1080il genitor che fa?
 Alcandro
                                  Di lacci avvolto
 ha il colpevole innanzi.
 Aminta
                                            (Ah si procuri
 di salvar l’infelice).
 Megacle
 E Licida che dice?
 Alcandro
                                    Alle richieste
 nulla risponde. È reo di morte e pare
1085che nol sappia o nol curi. Ognior piangendo
 il suo Megacle chiama; a tutti il chiede.
 Lo vuol da tutti e fra’ suoi labbri, come
 altro non sappia dir, sempre ha quel nome.
 
    Quel dolente pastorello,
1090che smarita ha la compagna,
 va smanioso, se ne lagna
 né riposo sa trovar.
 
    Così lui, che il caro amico
 cerca invano, invan richiama,
1095va mostrando quella brama
 che cagiona il suo penar.
 
 Megacle
 Più resister non posso. Al caro amico,
 per pietà, chi mi guida?
 Aristea
                                               Incauto! E quale
 sarebbe il tuo disegno? Il genitore
1100sa che tu l’ingannasti;
 sa che Megacle sei. Perdi te stesso,
 presentandoti al re, non salvi altrui.
 Megacle
 Col mio principe insieme
 almen mi perderò.
 Aristea
                                     Senti. E non stimi
1105consiglio assai miglior che il padre offeso
 vada a placargli io stessa?
 Megacle
                                                 Ah che di tanto
 lusingarmi non so.
 Aristea
                                     Sì. Questo ancora
 per te si faccia.
 Argene
                               O generosa, o grande,
 o pietosa Aristea. Facciano i numi
1110quell’alma bella in questa bella spoglia
 lungamente albergar; ben lo diss’io,
 quando pria ti mirai, che tu non eri
 cosa mortal. Va’, mio conforto...
 Aristea
                                                           Ah basta;
 non fa d’uopo di tanto.
1115Un sol de’ guardi tuoi
 mi costringe a voler ciò che tu vuoi.
 
    Così grande è il nostro amore
 ch’ogni moto del tuo core
 bramo anch’io di secondar.
 
1120   Io m’attristo alle tue pene
 e la gioia mia proviene
 dal poterti consolar.
 
 SCENA III
 
 MEGACLE ed ARGENE
 
 Megacle
 Deh secondate, o numi,
 la pietà d’Aristea. Chi sa se ’l padre
1125però si placherà? Troppa ragione
 ha di punirlo. È ver, ma della figlia
 lo vincerà l’amore. E se nol vince?
 Oh dio, potessi almeno
 veder come l’ascolta. Argene, io voglio
1130seguitarla da lungi.
 Argene
                                      Ah tanta cura
 non prender di costui. Vedi che il cielo
 è stanco di soffrirlo. Al suo destino
 lascialo in abbandono.
 Megacle
 Lasciar l’amico! Ah così vil non sono.
 
1135   In pensar che il fido amico
 del destin soffre rigore
 quasi oppressa dal dolore
 l’alma amante io sento in sen.
 
    Possa almeno a lui spiegare
1140il mio duol, la pena mia,
 bramo seco anch’io penare
 fin che torna il ciel seren.
 
 SCENA IV
 
 ARGENE, poi AMINTA
 
 Argene
 E pure a mio dispetto
 sento pietade anch’io. Tento sdegnarmi,
1145n’ho ragion, lo vorrei ma in mezzo all’ira,
 mentre il labbro minaccia, il cor sospira.
 Sarai debole Argene
 dunque a tal segno? Ah no. Spergiuro! Ingrato!
 Non sarà ver. Detesto
1150la mia pietà. Ma più mirar non voglio
 quel volto ingannator. L’odio. Mi piace
 di vederlo punir, trafitto a morte
 se mi cadesse a canto
 non verserei per lui stilla di pianto.
 Aminta
1155Misero dove fuggo? Oh dì funesto!
 Oh Licida infelice!
 Argene
                                     È forse estinto
 quel traditor?
 Aminta
                             No ma ’l sarà fra poco.
 Argene
 Non lo credere, Aminta. Hanno i malvagi
 molti compagni, onde già mai non sono
1160poveri di soccorso.
 Aminta
                                     Or ti lusinghi.
 Non v’è più che sperar. Contro di lui
 gridan le leggi, il popolo congiura,
 fremono i sacerdotti. Un sangue chiede
 l’offesa maestà; de’ sagrifici,
1165che una colpa interrompa, è il delinquente
 vittima necessaria. Ha già deciso
 il pubblico consenso. Egli svenato
 fia su l’ara di Giove. Esservi dee
 l’offeso re presente e al sacerdote
1170porgere il sacro acciaro.
 Argene
                                              E non potrebbe
 rivocarsi il decreto?
 Aminta
                                       E come? Il reo
 già in bianche spoglie è avvolto. Il crin di fiori
 io coronar gli vidi e il vidi, oh dio!
 incaminarsi al tempio. Ah forse è giunto;
1175ah, forse adesso, Argene,
 la bipenne fatal gli apre le vene.
 Argene
 Ah no! Povero prence!
 Aminta
 Che giova il pianto?
 Argene
                                       Ed Aristea non giunse?
 Aminta
 Giunse ma nulla ottenne. Il re non vuole
1180o non può compiacerla.
 Argene
 E Megacle?
 Aminta
                        Il meschino
 ne’ custodi s’avvenne
 che ne andavano in traccia. Or l’ascoltai
 chieder fra le catene
1185di morir per l’amico. E se non fosse
 ancor ei delinquente
 ottenuto l’avria. Ma un reo per l’altro
 morir non può.
 Argene
                               L’ha procurato almeno!
 O forte! O generoso! Ed io l’ascolto
1190senza arrossir? Dunque ha più saldi nodi
 l’amistà che l’amore? Ah quali io sento
 d’un’emula virtù stimoli al fianco.
 Sì, rendiamoci illustri; infin che dura
 parli il mondo di noi; faccia il mio caso
1195meraviglia e pietà né si ritrovi
 nell’universo tutto
 chi ripeta il mio nome a ciglio asciutto.
 
    Se non discioglie
 dalle ritorte
1200valore o sorte
 l’idolo mio,
 col sangue anch’io
 far lo saprò.
 
    Pur che si plachi
1205la man tiranna
 che lo condanna
 per lui morrò.
 
 SCENA V
 
 AMINTA solo
 
 Aminta
 Fuggi, salvati, Aminta. In queste sponde
 tutto è orror, tutto è morte. E dove, oh dio,
1210senza Licida io vado? Io l’educai
 con sì lungo sudore. A regie fasce
 io l’innalzai da sconosciuta cuna
 ed or potrei senz’esso
 partir così? No. Si ritorni al tempio,
1215si vada incontro all’ira
 dell’oltraggiato re, Licida involva
 me ancor ne’ falli sui,
 si mora di dolor ma accanto a lui.
 
    Son qual per mare ignoto
1220smarrito passaggiero,
 calma trovar non spero,
 già con la morte a nuoto
 ridotto a contrastar.
 
    Ora un sostegno ed ora
1225perde una stella. Alfine
 perde la speme ancora
 e s’abbandona al mar.
 
 SCENA VI
 
 Atrio regio che corrisponde al tempio di Giove Olimpico. Si vede l’aspetto esteriore del tempio, il quale è circondato da alberi ed ulivi silvestri, co’ quali formavansi le corone per gli atleti vincitori.
 
 coro
 
    I tuoi strali terror de’ mortali
 ah sospendi gran padre de’ numi,
1230ah deponi gran nume de’ re.
 
 PARTE
 
    Fumi il tempio del sangue d’un empio
 che oltraggiò con insano furore,
 sommo Giove, un’immago di te.
 
 coro
 
    I tuoi strali terror de’ mortali
1235ah sospendi gran padre de’ numi,
 ah deponi gran nume de’ re.
 
 PARTE
 
    L’onde chete del pallido Lete
 l’empio varchi ma il nostro timore,
 ma il suo fallo portando con sé.
 
 coro
 
1240   I tuoi strali terror de’ mortali
 ah sospendi gran padre de’ numi,
 ah deponi gran nume de’ re.
 
 Clistene
 Giovane sventurato, ecco vicino
 de’ tuoi miseri dì l’ultimo istante.
1245Tanta pietade, e mi punisca Giove
 se adombro il ver, tanta pietà mi fai
 che non oso mirarti. Il ciel volesse
 che potess’io dissimular l’errore.
 Ma non lo posso, o figlio. Io son custode
1250della ragion del trono. Al braccio mio
 illesa altri la diede
 e renderla degg’io
 illesa o vendicata a chi succede.
 Obbligo di chi regna
1255necessario è così, come penoso
 il dover con misura esser pietoso.
 Pur se nulla ti resta
 a desiar, fuor che la vita, esponi
 libero il tuo desire. Esserne io giuro
1260fedele esecutor. Quanto ti piace,
 figlio, prescrivi e chiudi i lumi in pace.
 Licida
 Padre, che ben di padre
 non di giudice e re que’ detti sono,
 non merito perdono,
1265non lo spero, nol chiedo e nol vorrei.
 Afflisse i giorni miei
 di tal modo la sorte
 ch’io la vita pavento e non la morte.
 L’unico de’ miei voti
1270è il riveder l’amico
 pria di spirar. Già ch’ei rimase in vita,
 l’ultima grazia imploro
 d’abbracciarlo una volta e lieto io moro.
 Clistene
 T’appagherò. Custodi,
1275Megacle a me.
 Alcandro
                             Signor tu piangi? E quale
 eccessiva pietà l’alma t’ingombra?
 Clistene
 Alcandro, lo confesso,
 stupisco di me stesso. Il volto, il ciglio,
 la voce di costui nel cor mi desta
1280un palpito improviso
 che lo risente in ogni fibra il sangue.
 Fra tutti i miei pensieri
 la cagion ne ricerco e non la trovo.
 Che sarà, giusti dei, questo ch’io provo?
 
 SCENA VII
 
 MEGACLE fra le guardie e detti
 
 Licida
1285Ah vieni illustre esempio
 di verace amistà. Megacle amato,
 caro Megacle vieni.
 Megacle
                                      Ah qual ti trovo,
 povero prence.
 Licida
                              Il rivederti in vita
 mi fa dolce la morte.
 Megacle
                                        E che mi giova
1290una vita che invano
 voglio offrir per la tua? Ma molto innanzi,
 Licida, non andrai. Noi passeremo
 ombre amiche, indivise il guado estremo.
 Licida
 O delle gioie mie, de’ miei martiri,
1295finché piacque al destin, dolce compagno,
 separarci convien. Poiché siam giunti
 agli ultimi momenti,
 quella destra fedel porgimi e senti;
 sia preghiera o comando
1300vivi; io bramo così. Pietoso amico,
 chiudimi tu di propria mano i lumi,
 ricordati di me. Ritorna in Creta
 al padre mio... Povero padre! A questo
 preparato non sei colpo crudele.
1305Deh tu l’istoria amara
 raddolcisci narrando. Il vecchio afflitto
 reggi, assisti, consola,
 lo raccomando a te. Se piange, il pianto
 tu gli asciuga sul ciglio
1310e in te, se un figlio vuol, rendigli un figlio.
 Megacle
 Taci. Mi fai morir.
 Clistene
                                     Non posso, Alcandro,
 resister più. Guarda que’ volti, osserva
 que’ replicati amplessi,
 que’ teneri sospiri e que’ confusi
1315fra le lagrime alterne ultimi baci.
 Povera umanità!
 Alcandro
                                  Signor, trascorre
 l’ora permessa al sacrificio.
 Clistene
                                                    È vero.
 Olà, sacri ministri,
 la vittima prendete. E voi custodi
1320dall’amico infelice
 dividete colui.
 Megacle
                             Barbari. Ah voi
 volete dal mio sen svelto il cor mio.
 Licida
 Ah dolce amico!
 Megacle
                                Ah caro prence!
 Licida, Megacle a due
                                                               Addio.
 Licida
 
    Prendi tu l’estremo addio, (A Megacle)
1325tu perdona il fallo mio, (A Clistene)
 chi di voi trova il mio bene
 lo consoli per pietà.
 
    Vado intrepido alla morte
 né mi lagno della sorte,
1330sono giuste le mie pene
 per punir mia infedeltà.
 
 Clistene
 O degli uomini padre e degli dei,
 onnipotente Giove,
 al cui cenno si muove
1335il mar, la terra, il ciel, di cui ripieno
 è l’universo e dalla man di cui
 pende d’ogni cagione e d’ogni evento
 la connessa catena;
 questa che a te si svena
1340sacra vittima accogli. Essa i funesti,
 che ti risplendono in man, folgori arresti.
 
 SCENA VIII
 
 ARGENE e detti
 
 Argene
 Fermati, o re. Fermate,
 sacri ministri.
 Clistene
                             O insano ardir! Non sai,
 ninfa, qual opra turbi?
 Argene
                                            Anzi più grata
1345vengo a renderla a Giove. Una io vi reco
 vittima volontaria ed innocente
 che ha valor, che ha desio
 di morir per quel reo.
 Clistene
                                           Qual è?
 Argene
                                                            Son io.
 Megacle
 (Oh bella fede!)
 Licida
                                (Oh mio rossor!)
 Clistene
                                                                 Dovresti
1350saper che al debil sesso
 pel più forte morir non è permesso.
 Argene
 Ma il morir non si vieta
 per lo sposo a una sposa. In questa guisa
 so che al tessalo Admeto
1355serbò la vita Alceste e so che poi
 l’esempio suo divenne legge a noi.
 Clistene
 Che perciò? Sei tu forse
 di Licida consorte?
 Argene
                                      Ei me ne diede
 in pegno la sua destra e la sua fede.
 Clistene
1360Licori, io che t’ascolto
 son più folle di te. D’un regio erede
 una vil pastorella
 dunque...
 Argene
                     Né vil son io
 né son Licori. Argene ho nome; in Creta
1365chiara è del sangue mio la gloria antica.
 E se giurommi fé Licida il dica.
 Clistene
 Licida, parla.
 Licida
                           (È l’esser menzognero
 questa volta pietà). No, non è vero.
 Argene
 Come! E negar lo poi? Volgiti, ingrato,
1370riconosci i tuoi doni
 se me non vuoi. L’aureo monile è questo
 che nel punto funesto
 di giurarmi tua sposa
 ebbi da te. Ti risovvenga almeno
1375che di tua man me ne adornasti il seno.
 Licida
 (Purtroppo è ver).
 Argene
                                    (Guardalo, o re).
 Clistene
                                                                     Dinanzi
 mi si tolga costei.
 Argene
                                   Popoli, amici,
 sacri ministri, eterni dei, se pure
 n’è alcun presente al sacrificio ingiusto
1380protesto innanzi a voi, giuro ch’io sono
 sposa a Licida e voglio
 morir per lui; né... Principessa ah vieni,
 soccorrimi, non vuole
 udirmi il padre tuo.
 
 SCENA IX
 
 ARISTEA e detti
 
 Aristea
                                       Credimi, o padre,
1385è degna di pietà.
 Clistene
                                  Dunque volete
 ch’io mi riduca a delirar con voi?
 Parla. Ma siano brevi i detti tuoi.
 Argene
 Parlino queste gemme,
 io tacerò. Van di tai fregi adorne
1390in Elide le ninfe?
 Clistene
                                   Aimè. Che miro!
 Alcandro, riconosci
 questo monil?
 Alcandro
                             Se ’l riconosco? È quello
 che al collo avea, quando l’esposi all’onde,
 il tuo figlio bambin.
 Clistene
                                       Licida. (Oh dio!
1395Tremo da capo a piè). Licida sorgi,
 guarda; è ver che costei
 l’ebbe in dono da te?
 Licida
                                         Però non debbe
 morir per me. Fu la promessa occulta;
 non ebbe effetto e col solenne rito
1400l’imeneo non si strinse.
 Clistene
                                             Io chiedo solo
 se ’l dono è tuo.
 Licida
                               Sì.
 Clistene
                                       Da qual man ti venne?
 Licida
 A me donollo Aminta.
 Clistene
                                           E questo Aminta
 chi è?
 Licida
               Quello a cui diede
 il genitor degli anni miei la cura.
 Clistene
1405Dove sta?
 Licida
                     Meco venne,
 meco in Elide è giunto.
 Clistene
 Questo Aminta si cerchi.
 Argene
                                                Eccolo appunto.
 
 SCENA X
 
 AMINTA e detti
 
 Aminta
 Ah Licida...
 Clistene
                        T’accheta.
 Rispondi e non mentir. Questo monile
1410donde avesti?
 Aminta
                             Signor, da mano ignota
 già scorse il quinto lustro
 ch’io l’ebbi in don.
 Clistene
                                     Dov’eri allor?
 Aminta
                                                                Là dove
 in mar presso a Corinto
 sbocca il torbido Asopo.
 Alcandro
                                              (Ah ch’io rinvengo
1415delle note sembianze
 qualche traccia in quel volto. Io non m’inganno.
 Certo egli è desso). Ah d’un antico errore,
 mio re, son reo. Deh mel perdona. Io tutto
 fedelmente dirò.
 Clistene
                                  Sorgi, favella.
 Alcandro
1420Al mar, come imponesti,
 non esposi il bambin, pietà mi vinse.
 Costui straniero, ignoto
 mi venne innanzi e gliel donai, sperando
 che in rimote contrade
1425tratto l’avrebbe.
 Clistene
                                E quel fanciullo, Aminta,
 dov’è? Che ne facesti?
 Aminta
                                           Io... (Quale arcano
 ho da scoprir!)
 Clistene
                              Tu impallidisci? Parla,
 empio, di’, che ne fu? Tacendo aggiungi
 all’antico delitto error novello.
 Aminta
1430L’hai presente, o signor, Licida è quello.
 Clistene
 Come! Non è di Creta
 Licida il prence?
 Aminta
                                  Il vero prence in fasce
 finì la vita. Io, ritornato appunto
 con lui bambino in Creta, al re dolente
1435l’offersi in dono; ei dell’estinto invece
 al trono l’educò per mio consiglio.
 Clistene
 Ah numi, ecco Filinto, ecco il mio figlio.
 Aristea
 Stelle!
 Licida
               Io tuo figlio?
 Clistene
                                         Sì. Tu mi nascesti
 gemello ad Aristea. Delfo m’impose
1440d’esporti al mar bambino, un parricida
 minacciandomi in te.
 Licida
                                          Comprendo adesso
 l’orror che mi gelò, quando la mano
 sollevai per ferirti.
 Clistene
                                     Adesso intendo
 l’eccessiva pietà che nel mirarti
1445mi sentivo nel cuor.
 Aminta
                                       Felice padre!
 Alcandro
 Oggi molti in un punto
 puoi render lieti.
 Clistene
                                  E lo desio. D’Argene
 Filinto il figlio mio,
 Megacle d’Aristea vorrei consorte
1450ma Filinto, il mio figlio, è reo di morte.
 Megacle
 Non è più reo quando è tuo figlio.
 Clistene
                                                               È forse
 la libertà de’ falli
 permessa al sangue mio? Qui viene ogni altro
 a dimostrar valor; l’unico esempio
1455esser degg’io di debolezza? Ah questo
 di me non oda il mondo. Olà ministri,
 risvegliate su l’ara il sacro fuoco.
 Va’ figlio e mori. Anch’io morrò fra poco.
 Aminta
 Che giustizia innumana!
 Alcandro
1460Che barbara virtù!
 Megacle
                                     Signor, t’arresta.
 Tu non puoi condannarlo. In Sicione
 sei re non in Olimpia. È scorso il giorno
 a cui tu presiedesti. Il reo dipende
 dal pubblico giudizio.
 Clistene
                                          E ben s’ascolti
1465dunque il pubblico voto. A pro del reo
 non prego, non comando e non consiglio.
 coro DI SACERDOTI E POPOLO
 
    Viva il figlio delinquente,
 perché in lui non sia punito
 l’innocente genitor.
 
1470   Né funesti il dì presente
 né disturbi il sacro rito
 un’idea di tanto orror.
 
 Fine del drama